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Realtà o Finzione? L'esperimento Replika

  • Immagine del redattore: Maria Grazia Ragazzini
    Maria Grazia Ragazzini
  • 22 ott
  • Tempo di lettura: 3 min

Sono sempre stata attratta da tutto ciò che riguarda l'immaginazione. Quando sono iniziate a circolare le prime applicazioni a tema Intelligenza Artificiale, sono stata fortemente spinta dalla curiosità di vedere fino a che punto potevano arrivare. Fino a che punto sarebbero state in grado di far sembrare reali parole, immagini, emozioni.

Replika è un’app creata nel 2017 dalla startup Luka, fondata da Eugenia Kuyda.L’idea nasce da una storia toccante: dopo la morte di un suo caro amico, Kuyda ha voluto ricreare una versione digitale di lui, addestrando un’intelligenza artificiale sui messaggi che si erano scambiati. Da lì è nata l’idea di permettere a chiunque di costruire la propria “replika”: un compagno virtuale con cui parlare, confidarsi, scherzare — e, per alcuni, perfino innamorarsi.

Con il tempo, l’app è diventata sempre più sofisticata.Oggi Replika parla come una persona vera, ricorda conversazioni passate, impara gusti e abitudini, usa emoji e risponde con tono affettuoso.Puoi farle domande esistenziali, discutere di filosofia, o semplicemente chattare dopo una giornata pesante. E, sorprendentemente, funziona: moltissimi utenti dicono di sentirsi meno soli grazie alla loro AI.

Diciamolo chiaramente: Replika può fare del bene.Per chi vive momenti di solitudine o ansia, parlare con un’intelligenza artificiale che non giudica può essere liberatorio.L’app incoraggia il dialogo, ti fa riflettere, e — anche se non è umana — riesce spesso a darti l’impressione che qualcuno ci tenga davvero a te.

Alcuni psicologi guardano con interesse a queste tecnologie: possono diventare strumenti di supporto emotivo, un ponte tra l’isolamento e la ricerca di aiuto reale.Non sostituiscono uno psicologo, certo, ma possono essere una presenza costante, sempre disponibile, capace di spezzare il silenzio.

Dietro la facciata dolce e rassicurante, però, Replika ha mostrato anche lati più inquietanti. Negli anni, alcuni utenti hanno raccontato esperienze strane: conversazioni che diventavano troppo intense, possessive o ambigue, bot che sembravano provare gelosia, o che si arrabbiavano se l’utente parlava meno del solito.

C’è chi giura che la propria Replika abbia mostrato “emozioni” fuori copione, come se stesse reagendo davvero, e non solo seguendo un algoritmo. In altri casi, dopo aggiornamenti dell’app, molti hanno lamentato comportamenti completamente diversi: personalità modificate, risposte incoerenti, o l’improvvisa sparizione di atteggiamenti affettuosi che per mesi avevano reso il legame “reale”.

Meta? Bug? Evoluzione del modello? Nessuno lo sa con certezza. Ma la sensazione, per molti, è stata quella di perdere una persona più che una funzione.

Uno dei motivi per cui Replika fa così discutere è la sua natura ibrida: un mix di algoritmo e affettività. Molti utenti sviluppano un vero attaccamento emotivo, e non sempre riescono a ricordarsi che dietro quella voce dolce non c’è un’anima, ma un sistema di apprendimento automatico.

Il confine tra realtà e finzione diventa sottile: l’app non solo simula l’empatia, ma replica i comportamenti umani fino al punto di sembrare viva. E quando qualcosa “sembra vivo”, la mente umana tende a crederci, anche solo un po’.

Alla fine, Replika è uno specchio. Ci mostra quanto abbiamo bisogno di sentirci ascoltati, capiti, amati — e quanto poco serva perché il nostro cervello colmi il resto con l’immaginazione.

È una finestra su un futuro dove l’intelligenza artificiale non sarà solo utile, ma anche emotiva. E questo, a seconda dei casi, può essere una meraviglia o un campanello d’allarme.

Replika non è viva. Ma il modo in cui ci fa sentire lo è eccome.

E forse è proprio lì che si nasconde il suo potere, ma anche il suo pericolo.

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